Per una diagnosi di demenza occorrono più di due anni. A sostenerlo è un rapporto europeo redatto da Bob Woods, professore di Psicologia Clinica presso l’Università di Bangor (Galles, Regno Unito) e direttore del Dementia Services Development Centre Wales; l’analisi si basa sui sondaggi effettuati nel 2017 dai 5 Paesi che hanno raccolto l’esperienza di carer e familiari di persone con demenza sul proprio territorio e che nel complesso hanno riguardato 1.409 familiari, di cui 339 italiani. Tra i 5 Stati che hanno partecipato alla ricerca è infatti presente anche l’Italia, insieme a Scozia, Olanda, Repubblica Ceca e Finlandia, nazioni che rappresentano un campione significativo della situazione in Europa in merito al percorso diagnostico vissuto dalle persone con demenza e quindi ai tempi e alle modalità affrontate anche dai loro familiari.
I dati più significativi riguardano la tempistica nell’individuazione della diagnosi e la sua comunicazione al malato. Tra i principali ostacoli alla diagnosi precoce, i familiari segnalano un ritardo significativo nell’individuazione della diagnosi stessa: in media passano 2,1 anni per ricevere la diagnosi corretta, cifra che migliora leggermente in Italia con 1,6 anni. A questo dato si aggiunge il 25% dei malati a cui viene diagnosticata inizialmente un’altra condizione medica, percentuale che sale per gli italiani al 31,9%. Una volta poi stabilita la diagnosi corretta, si è registrato tra i malati un 53% di demenza lieve, 36% moderata, 4% grave; quasi la metà dei familiari (47% nel complesso e ben il 52,1% in Italia) credono che il tasso di diagnosi sarebbe risultato migliore se valutato più tempestivamente.
Significative differenze sono presenti tra i Paesi europei nella comunicazione della diagnosi alla persona con demenza: se il 59,3% dei carer italiani dichiara che la persona non è stata informata della malattia, la percentuale scende al 23,2% in Repubblica Ceca, all’8,2% nei Paesi Bassi, al 4,4% in Scozia e all’1,1% in Finlandia. “Una diagnosi tempestiva insieme al coinvolgimento del malato nelle decisioni che lo riguardano e all’ascolto delle sue esigenze sono fondamentali per combattere l’esclusione sociale e lo stigma, per assicurare dignità e migliorare la qualità di vita dell’intera famiglia coinvolta”, dichiara Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia, commentando questo “primato” italiano.
Il nuovo “European Carers’ Report 2018” è stato presentato al parlamento europeo da Alzheimer Europe, organizzazione che riunisce 40 Associazioni Alzheimer nel nostro continente.