Diabete di tipo 2. Empagliflozin riduce il rischio di mortalità cardiovascolare

I risultati di un nuovo studio scientifico (EMPA-REG OUTCOME®) hanno dimostrano che la molecola empagliflozin riduce il rischio di mortalità cardiovascolare in pazienti con diabete di tipo 2 e malattia cardiovascolare accertata, indipendentemente dal controllo glicemico all’inizio dello studio. È stata osservata una riduzione della mortalità cardiovascolare anche quando empagliflozin viene aggiunto ad antidiabetici d’uso comune di prima o seconda linea, come metformina o sulfanilurea. I risultati di questa analisi post hoc sono stati presentati a Lisbona in occasione della 53a edizione del Congresso Annuale dell’Associazione Europea per lo Studio del Diabete (EASD).

“Ora che disponiamo di una nuova opzione per ridurre il rischio di mortalità cardiovascolare in chi è affetto da diabete di tipo 2, cerchiamo di capire meglio se esistono differenze di beneficio nei pazienti”, dichiara il prof. Silvio Inzucchi, della Divisione di Endocrinologia alla Yale School of Medicine di New Haven. “Queste nuove analisi dello studio EMPA-REG OUTCOME® dimostrano che empagliflozin è efficace nel ridurre il rischio di mortalità cardiovascolare in pazienti con diabete di tipo 2 e malattia cardiovascolare accertata, indipendentemente dai livelli di glicemia all’inizio dello studio e dalla terapia di base con ipoglicemizzanti orali d’uso comune.”

Empagliflozin è un inibitore del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2) orale, in monosomministrazione giornaliera, altamente selettivo, approvato in Europa, Stati Uniti e altri Paesi come terapia per adulti con diabete di tipo 2. L’inibizione SGLT2 realizzata da empagliflozin in soggetti con diabete di tipo 2 comporta l’eliminazione del glucosio in eccesso per via urinaria. Inoltre, l’avvio della terapia con empagliflozin aumenta l’eliminazione di sodio dall’organismo e riduce il carico di liquidi sul sistema vascolare (volume intravascolare). La glicosuria, natriuresi e diuresi osmotica osservate con empagliflozin potrebbero contribuire al miglioramento degli esiti cardiovascolari. Empagliflozin non è indicato in pazienti con diabete di tipo 1, né come trattamento della chetoacidosi diabetica (aumento dei chetoni nel sangue o nelle urine).

La ricerca è stata condotta in 42 Paesi su oltre 7.000 soggetti con diabete di tipo 2 ad alto rischio di evento cardiovascolare. Lo studio ha valutato l’effetto di empagliflozin (10mg o 25mg una volta/die) aggiunto a terapia standard rispetto a placebo aggiunto a terapia standard. La terapia standard ha incluso farmaci ipoglicemizzanti e farmaci per la protezione cardiovascolare (compresi antiipertensivi e ipolipemizzanti). L’endpoint primario è stato predefinito come tempo intercorso sino al verificarsi di morte per cause cardiovascolari, infarto del miocardio non fatale o ictus non fatale. Su un tempo mediano di 3,1 anni, empagliflozin ha ridotto del 14% rispetto a placebo il rischio di morte per cause cardiovascolari, infarto del miocardio non fatale o ictus non fatale. La riduzione del rischio di mortalità per cause cardiovascolari è stata del 38%, senza differenza significativa nel rischio di infarto non fatale o ictus non fatale. Il profilo di sicurezza complessivo di empagliflozin è stato omogeneo rispetto a quello riscontrato in studi precedenti.