Di seguito pubblichiamo l’intervento del prof. Fernando De Maio, associato di Malattie dell’Apparato Locomotore presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, in occasione del CVI Congresso degli Ortopedici Italiani SIOT, sui temi della fragilità scheletrica e della chirurgia ortopedica nell’anziano:
“La fragilità scheletrica è uno dei principali problemi di Sanità pubblica, in quanto associata all’alto rischio di fratture e alle conseguenti implicazioni in termini di mortalità, riduzione dell’autonomia e costi sanitari. I segmenti scheletrici più colpiti sono nell’ordine di frequenza, il polso, il femore, l’omero e le vertebre. Le cause delle fratture da fragilità, soprattutto dopo i 65 anni di età, sono dovute per lo più all’osteoporosi, cioè una ridotta densità minerale e un deterioramento della micro-architettura del tessuto osseo, che in Italia colpisce circa il 23% delle donne e il 7% degli uomini”, dichiara De Maio. “Una corretta alimentazione, ricca di calcio e vitamina D e uno stile di vita attivo che comprenda un’adeguata attività fisica sono fondamentali per prevenire il rischio di fratture soprattutto nell’età considerata più a rischio cioè dopo la menopausa per le donne e senile per gli uomini. Nell’ottica della prevenzione, una corretta valutazione della fragilità ossea attraverso specifici esami del sangue e la mineralometria ossea computerizzata (MOC), già dai 50anni soprattutto per le donne, è raccomandata. Secondo dati recenti, in Italia nel 2017 sono state registrate 560 milafratture da fragilità, di cui 100mila riguardavano solo il femore e hanno interessato 390mila donne e 170mila uomini; considerando l’invecchiamento della popolazione nel nostro Paese, si può stimare che nel 2030 le fratture da fragilità aumenteranno di oltre il 20%, arrivando a sfiorare il tetto di circa 700mila. È importante infine sottolineare la questione della sopravvivenza dopo un grave trauma. Infatti, la frattura del femore rappresenta una delle maggiori cause di mortalità nel grande anziano: i dati epidemiologici – conclude – dimostrano che il 20% di questi pazienti muore nel primo anno dall’evento traumatico per patologie sopravvenute, nonostante la chirurgia ortopedica venga di norma praticata nelle prime 24-48 ore per cercare di ristabilire le condizioni cliniche preesistenti il più precocemente possibile.”