Oggi è possibile una terapia domiciliare precoce ragionata per il trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2. Intervenire tempestivamente sui sintomi attraverso terapie mirate ed efficaci, permette di creare un sistema virtuoso di controllo della malattia e di indirizzare alle strutture ospedaliere solo in caso di aggravamento. Il medico di medicina generale ricopre in questo scenario un ruolo determinante. A questo scopo è stata messa a punto una flow-chart per il trattamento farmacologico della malattia, realizzata dalla Federazione Italiana Medici di Medicina Generale Roma in collaborazione con l’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive, Policlinico di Tor Vergata. Uno strumento per supportare l’individuazione della terapia più indicata in base ai sintomi riferiti dai pazienti.
“Rispetto all’inizio della pandemia, adesso abbiamo chiaro come affrontare la patologia del Covid a casa: oggi la terapia è diventata più tempestiva, una volta avuto l’esito del tampone”, dichiara spiega il dott. Pier Luigi Bartoletti, medico di Medicina Generale e vicesegretario, vicario nazionale FIMMG. “Distinguiamo tra terapie specifiche e terapie non specifiche. Le cure specifiche sono le terapie antivirali e gli anticorpi monoclonali, questi ultimi somministrabili solo in ospedale o a domicilio con personale specializzato. Escludendo malati cronici, pazienti obesi o sovrappeso, l’indicazione è che sopra i 65 anni si dovrebbe fare una terapia specifica con antivirali orali o con i monoclonali. Chi non è in condizioni di rischio, cioè persone in buona salute e i giovani, valutando sempre caso per caso, può fare una terapia non specifica, ovvero con medicinali antinfiammatori. Si è visto infatti che questo riduce molto le ospedalizzazioni.”
“Abbiamo ottime opzioni terapeutiche”, afferma il prof. Massimo Andreoni, direttore UOC Malattie Infettive, Policlinico Tor Vergata, Roma. “Sia i monoclonali che gli antivirali vanno somministrati a non più di 5 giorni dell’inizio della malattia. Si sono dimostrati estremamente efficaci nel ridurre il rischio di progressione di malattia. Sono indicati per i soggetti fragili per i quali sia prevista una possibile evoluzione della malattia in una forma più grave che porti all’ospedalizzazione. Vari studi hanno dimostrato che sia antivirali che monoclonali sono in grado di ridurre non solo la mortalità ma anche l’ospedalizzazione del paziente.”
ANTINFIAMMATORI
“Nella patologia Covid spesso le maggiori complicanze derivano dalla ‘tempesta citochinica’, ossia da una abnorme risposta infiammatoria dell’organismo all’infezione”, spiega Bartoletti. “I FANS hanno dimostrato di agire non soltanto sui sintomi (mal di testa, febbre, dolori muscolari) ma, grazie all’azione antinfiammatoria, diminuiscono o minimizzano la possibilità di avere complicazioni da Covid 6-7 giorni dopo la comparsa [degli stessi]. Anche la vaccinazione ha contribuito a evitare che in moltissimi casi il Covid fosse una malattia grave. Quindi l’uso dei FANS non solo è razionale ma è efficace, nei casi non trattabili ad oggi con gli antivirali.”
L’uso dei Fans nelle fasi precoci è subordinato alle specifiche indicazioni AIFA e alle caratteristiche delle molecole: “Tra le molte molecole utilizzate, quella che ha una specifica indicazione AIFA nel foglietto illustrativo per le alte vie respiratorie è il ketoprofene sale di lisina oltre all’aspirina”, prosegue Bartoletti. “Le altre molecole non hanno come indicazione tale utilizzo. In ogni caso, vista la potenza e l’efficacia di queste molecole, oltre a possibili interazioni con altre terapie in atto, è consigliabile chiedere sempre prima al medico curante, oltre ad avere l’accortezza di assumerle a stomaco pieno per diminuirne l’impatto sullo stomaco.”
“Possiamo utilizzare diversi farmaci antinfiammatori come, ad esempio, ketoprofene o naprossene e molti altri”, dichiara Andreoni. “La scelta qui deve essere molto attenta, in funzione di quelle che sono le caratteristiche dell’antinfiammatorio. Se è vero che quasi tutti possiedono una buona efficacia in termini di effetto antipiretico – ossia ridurre e controllare il processo febbrile che si instaura in seguito all’infezione – alcune caratteristiche li rendono diversificati uno dall’altro. Per esempio – continua – il ketoprofene ha un’ottima azione anche antiaggregante e quindi riesce a ridurre la aggregabilità delle piastrine. In questo senso si differenzia da tutti gli altri antinfiammatori, e ricordo che il rischio trombotico nel corso del Covid è un rischio molto rilevante. Avere un farmaco che oltre all’attività antinfiammatoria ha anche questa attività sull’aggregazione piastrinica, per alcuni versi lo può far preferire ad altri antinfiammatori che possiamo utilizzare in questa fase della malattia.”
VACCINI
“La vaccinazione ha 2 finalità: proteggere le persone fragili e quindi a rischio di malattia grave; […] intervenire su tutta la popolazione per cercare di ridurre al massimo la circolazione del virus”, prosegue Andreoni. “Infatti, se è vero che le vaccinazioni non impediscono in assoluto l’infezione, mentre controllano bene l’evoluzione della malattia, in realtà chi è stato vaccinato ha un rischio ridotto di infettarsi. Globalmente aver vaccinato gran parte della popolazione ha ridotto il rischio di progressione dell’infezione stessa. I vaccini hanno ovviamente il limite che alcuni soggetti più fragili, quindi più gravemente immunocompromessi, possono avere una risposta parziale alla vaccinazione. In questi pazienti la vaccinazione può avere un’efficacia ridotta nel tempo rispetto alla popolazione sana. Dopo 4 o 6 mesi siamo costretti a effettuare delle dosi di richiamo.”
TOSSE
“La tosse è uno dei sintomi a corredo della malattia”, dichiara Bartoletti. “In questo caso si possono utilizzare i farmaci sedativi della tosse ad azione periferica, quindi, quelli che non vanno ad agire a livello centrale, nel cervello, e che possono avere effetti negativi. La tosse è infatti un fenomeno di per sé difensivo, e contribuisce a espellere l’espettorato e dunque a ripulire i bronchi. L’indicazione è utilizzare farmaci contro la tosse a livello periferico.”
ANTIBIOTICI
“All’inizio della pandemia – continua Bartoletti – venivano somministrati sempre gli antibiotici, ma questa prescrizione aveva una logica: a quell’ epoca, visti i tempi di risposta dei tamponi e la loro scarsa disponibilità, dovevamo coprire, nel dubbio, con l’antibioticoterapia una possibile altra patologia non virale ma batterica. Oggi, accertato che si tratta di Covid, sappiamo che non serve prescrivere un antibiotico. Questo farmaco non ha alcuna azione sui virus, quindi anche su quello del Covid. Ciò in ogni caso, va verificato caso per caso, perché una superinfezione batterica è sempre possibile.”