
I ricercatori della Sapienza Università di Roma hanno identificato nei soggetti Covid-positivi un mix di fattori per riconoscere quelli a maggior rischio di trombosi, con l’obiettivo di ottimizzare la terapia anti-coagulante. Due in particolare gli studi condotti. Nel primo lavoro, pubblicato su Thrombosis and Haemostasis, sono stati studiati 674 pazienti affetti da COVID-19 e individuati 3 semplici variabili alla base della trombosi: età, albumina serica e livelli di D-dimero, uno dei frammenti proteici della fibrina, responsabile della formazione di coaguli (trombi) nei vasi sanguigni. È stato osservato che i soggetti con una combinazione di età elevata (oltre 70 anni), bassa albumina (<35 g/L) e D-dimero elevato (>2000ng/ml) avevano una maggiore probabilità di trombosi, rispetto a pazienti di età inferiore e con valori normali di albumina e D-dimero.
Il secondo lavoro, in pubblicazione su Haematologica, risponde a una problematica ancora dibattuta dopo 2 anni di pandemia: prevenire gli eventi trombotici con una terapia anticoagulante standard o con dosi profilattiche, ossia basse dosi di anticoagulanti. “Avendo a disposizione questo semplice punteggio – chiamato ADA score – è adesso possibile stabilire chi è a maggiore rischio di trombosi e che ha necessità di un trattamento anticoagulante”, dichiara Francesco Violi, del Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche della Sapienza Università di Roma, coordinatore del gruppo di ricerca.
Inoltre il team di ricercatori – composto, oltre a Violi, da Lorenzo Loffredo, Pasquale Pignatelli, Annarita Vestri – ha effettuato una meta-analisi degli studi che hanno confrontato i 2 tipi di trattamento, dimostrando che le dosi standard di anticoagulanti sono più efficaci delle dosi profilattiche nel ridurre gli eventi trombotici senza aumentare il rischio di emorragie serie. “La meta-analisi, che ha incluso circa 4.500 pazienti COVID-19 dimostra come questa terapia rappresenterebbe un utile supporto non solo per ridurre gli eventi trombotici, ma anche della mortalità che purtroppo – conclude Violi – rimane ancora elevata fra questi soggetti.”