Il plasma dei pazienti guariti da Coronavirus è l’arma per curare le persone infette o che si infetteranno nei prossimi mesi prima dell’arrivò dei vaccini: essendo carico di anticorpi neutralizzanti, è lo strumento che può fare da ponte. D’altronde, tanto la raccolta quanto l’infusione di plasma iperimmune sono pratiche di routine in medicina, ben tollerate e con rischi estremamente bassi da quanto hanno notato i medici che le hanno utilizzate con successo anche nelle epidemie precedenti come la Sars e la Mers, tra il 2012 e il 2013, con ottimi risultati. Lo sa anche Roberto Burioni, Professore di Microbiologia e Virologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e Direttore scientifico Medical Facts: “La terapia con siero (o plasma) iperimmune non è cosa nuova, il primo premio Nobel andò a Von Behring nel 1901 per questa terapia, usata anche nel 1918 per la spagnola. La novità grossa ci sarà quando dati solidi diranno che funziona anche con COVID-19.”
C’è un però: la terapia risulta impegnativa fin dalla selezione dei donatori. “Da 100 potenziali candidati non ne ricaviamo più di 30 adatti”, spiega Massimo Franchini, responsabile dell’Immunoematologia e Medicina trasfusionale dell’ospedale Carlo Poma di Mantova. “Questo perché dobbiamo avere pazienti guariti da almeno 2 settimane e con tamponi negativi, che non abbiamo co-morbidità e siano idonei a donare il plasma. Insomma, devono essere persone sane, che hanno contratto Covid-19 e sono guarite.”
Di per sé, la procedura ha dei vantaggi: è poco costosa, il sangue è quello di quanti sono guariti dal Coronavirus solo che viene debitamente trattato, inoltre il miglioramento del paziente avviene con una velocità sorprendente: da 8 a 24 ore. In Italia questo protocollo di cura è partito dal Policlinico San Matteo di Pavia, ma poi il Poma di Mantova (dove i morti per Covid19 sono azzerati da quasi un mese) è salito alla ribalta mondiale dopo che la 28enne Pamela Vincenzi, è stata la prima paziente ad essere trattata con le infusioni di plasma (la parte liquida del sangue) durante la gravidanza. Sono bastate le infusioni di 2 sacche di plasma per risultare clinicamente guarita, lei e la sua bambina di 24 settimane che porta in grembo. “Tutte e due fuori pericolo”, dice con entusiasmo il prof. Giuseppe De Donno, medico in prima linea nell’emergenza presso il presidio mantovano. Ora l’Asst di Mantova pensa a un’altra fase della sperimentazione basata su 200 pazienti da trattare. C’è da dire che comunque l’infusione ha “un’efficacia di massimo 2 o 3 settimane; ma potrebbe essere ripetuta al bisogno”. Intanto si continua a fare sperimentazione e, mentre le osservazioni sono ancora in corso, lo stesso protocollo lo stanno adottando con successo anche all’Aou di Novara.