
La colangite biliare primitiva è una rara malattia epatica, che se non trattata, può progredire nella fibrosi, nella cirrosi, nell’insufficienza epatica e nel decesso, a meno che il paziente non riceva un trapianto di fegato. Sebbene sia rara, è la più comune malattia epatica colestatica e colpisce prevalentemente le donne (che rappresentano il 90% dei pazienti) fra i 35 e i 60 anni di età.
La novità rappresentata dall’acido obeticolico (OCA) sopraggiunge circa 20 anni dopo l’introduzione dell’acido ursodesossicolico (UDCA), il farmaco di prima linea per la CBP. Ora, per i pazienti che non tollerano o non rispondono adeguatamente all’UDCA, c’è un’altra opzione terapeutica – l’OCA, appunto – per la quale occorre definire indicazioni e dosaggi. “La recente approvazione dell’acido obeticolico ha reso necessarie queste nuove indicazioni, insieme ad importanti progressi nella nostra conoscenza della malattia e gestione clinica dei pazienti”, dichiara Pietro Invernizzi, professore associato di Gastroenterologia e responsabile dell’U.O.C. di Gastroenterologia del S. Gerardo di Monza. “Dalle precedenti linee guida del 2009, abbiamo iniziato a sviluppare nuovi possibili farmaci per questa malattia e oggi il primo di questi, l’acido obeticolico, è già disponibile da alcuni mesi negli Stati Uniti, e lo sarà anche in Italia e in altri Paesi nel mondo entro fine anno o all’inizio del 2018.”
“In altre parole – conclude Invernizzi – abbiamo stabilito un valore di riferimento per capire se la malattia è sotto controllo o se la risposta è incompleta, e quindi progredisce. Questo valore riguarda un enzima, la fosfatasi alcalina (FA), ed è di 1,5 volte rispetto ai valori di riferimento: se il paziente ha dei livelli di FA inferiori a 1,5 volte rispetto ai valori di normalità, la terapia sta avendo effetto; se invece sono superiori, come succede nel 30-40% dei pazienti con CBP, avrà bisogno di un ulteriore trattamento farmacologico.”