La Società Italiana di Neurologia (SIN), insieme ad A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) e all’Organizzazione Italiana per lo Stroke (ISO) esprimono preoccupazione per i posti letto dei reparti di Neurologia di numerosi ospedali, ancora una volta riconvertiti per la cura dei pazienti COVID-19: “Anche in tempi di pandemia, però, un Sistema Sanitario Nazionale deve riuscire a garantire i migliori servizi possibili per i pazienti affetti da malattie non trasmissibili, in particolare per quelli con condizioni acute come ictus, traumi cranici, crisi epilettiche, polineuriti acute, sclerosi multipla, i cui trattamenti sono comunque sempre tempo-dipendenti.”
“Nei mesi più acuti della pandemia – commenta il prof. Gioacchino Tedeschi, presidente SIN – sono diminuiti drasticamente non solo i controlli clinici di pazienti con varie patologie neurologiche, ma anche gli accessi in emergenza ai Pronto Soccorso per malattie diverse dalla infezione da COVID-19, in parte a causa della riorganizzazione degli ospedali e in parte anche per il timore, da parte della popolazione, di contrarre il virus in Ospedale. Sappiamo però che un ictus non curato, o curato in ritardo, comporta non solo un rischio di esito fatale, ma anche maggiori disabilità, con conseguenze drammatiche sulla vita delle persone e sui costi sanitari e sociali conseguenti alla malattia. E sappiamo anche che tanti pazienti affetti da malattie neurologiche croniche (demenza, malattia di Parkinson, cefalee, sclerosi multipla) non riescono, per gli stessi motivi, ad avere l’assistenza di cui necessitano.”
In questi ultimi giorni in diverse Regioni sono state già bloccate le attività di ricoveri non urgenti nelle strutture ospedaliere che hanno dovuto essere rapidamente riconvertite per le degenze COVID, ma questa seconda ondata non può trovarci impreparati come nella prima fase. È necessario mantenere il più possibile le attività, in risposta alle patologie e alle problematiche assistenziali dei pazienti non-Covid in elezione e in urgenza, sia in regime ospedaliero sia in quello ambulatoriale: “Nel corso della prima fase della pandemia – dichiara Nicoletta Reale, presidente A.L.I.Ce. – la nostra Federazione aveva più volte lanciato l’allarme per la notevole diminuzione del numero dei pazienti con ictus cerebrale arrivati nei Pronto Soccorso dei nostri ospedali (circa il 40%-50% di accessi in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), continuando a sottolineare quanto fosse importante non sottovalutare i sintomi che possono costituire i ‘campanelli d’allarme’ di questa patologia ed evidenziando come le persone colpite abbiano comunque continuato ad avere percorsi sicuri e dedicati.”
“Le Unità Neurovascolari o Centri Ictus (stroke unit) – aggiunge il prof. Danilo Toni, presidente ISO – sono riuscite e riescono ancora a rispondere al meglio alla situazione di emergenza, garantendo percorsi diagnostici e terapeutici efficienti ed efficaci; hanno gestito e continuano a gestire i pazienti in totale sicurezza, istituendo corsie specifiche e mantenendo un distanziamento sicuro durante tutto il percorso clinico assistenziale.”
MA CHE COSA SUCCEDE A QUESTI PAZIENTI UNA VOLTA TERMINATA LA FASE ACUTA SE NON CI SONO POSTI LETTO DISPONIBILI NEI REPARTI DI NEUROLOGIA?
“Il percorso del paziente con ictus, così come con altre malattie neurologiche acute, una volta superata la fase di emergenza, prevede assistenza multiprofessionale nei reparti di Neurologia, dove le competenze specialistiche comportano una migliore prognosi, anche a distanza. L’Associazione che rappresenta i pazienti colpiti da ictus nel nostro Paese in sintonia con i Neurologi italiani tramite le Società Scientifiche intendono far sentire nuovamente la propria voce, ribadendo quanto sia importante mantenere attivi i posti letto delle Neurologie in modo da garantire la continuità del trattamento più adeguato anche nella delicata fase del post ictus e della fase post-acuta delle altre malattie neurologiche. È fondamentale riuscire a organizzare al meglio, oltre alla routinaria assistenza al paziente, gli eventuali trasferimenti nelle neuroriabilitazioni, non trascurando le necessità di adattamento alla malattia e le possibili difficoltà di famiglie e caregiver, perno fondamentale di tutta la riorganizzazione, laddove sia possibile e auspicabilmente previsto il rientro al domicilio.”
La riduzione e, in alcuni casi, la sospensione delle visite ambulatoriali e degli accessi ai day hospital neurologici a causa del COVID rischia di avere conseguenze catastrofiche, con un probabile aumento della mortalità e della disabilità, anche superiore a quello della prima ondata, cui si aggiunge un rischio ovviamente maggiore di non sopravvivere al virus per chi soffre di malattie cerebro-cardiovascolari.