Campioni dello Sport e aritmie cardiache: la testimonianza di Katharina Bauer

Fra le belle storie sportive segnalate dai media internazionali, va segnalata quella di Katharina Bauer, campionessa tedesca di salto con l’asta cui, poco più di un anno fa, è stato impiantato un defibrillatore sottocutaneo (S-ICD). Sin da giovanissima Katharina registrava 6-7mila battiti cardiaci al giorno, arrivati fino a 18mila con l’aumentare dell’età, generando una situazione cardiaca molto problematica e rischiosa. Per questo, lo scorso anno, le è stato impiantato un defibrillatore sottocutaneo S-ICD per il controllo del ritmo cardiaco, intervento che non le ha impedito di ritornare rapidamente all’attività sportiva.

Oggi, la giovane atleta tedesca è impegnata negli allenamenti e punta ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020. La vicenda “a lieto fine” di Katharina Bauer solleva molti interrogativi per gli atleti professionisti, per migliaia di giovani atleti “amatoriali” ma anche per chi pratica sport occasionalmente e per diletto. “Gli allenamenti intensi e prolungati provocano cambiamenti morfologici cardiaci, come l’aumento di dimensioni delle camere cardiache sinistre, del setto interventricolare, della massa e degli apparati valvolari”, spiega il prof. Leonardo Calò, direttore Cardiologia del Policlinico Casilino-Roma e docente di Cardiologia dello Sport presso l’Università degli Studi di Roma. “I meccanismi che provocano queste modifiche sono molteplici, ma il tipo di sport praticato è di particolare rilevanza. Gli sport di resistenza (ciclismo, sci di fondo, canottaggio, canoa) sono quelli che hanno maggiore impatto nell’ingrandire la cavità e aumentare lo spessore delle pareti del ventricolo sinistro; queste risultano al di sopra dei limiti normali, tanto da simulare – a volte – condizioni patologiche quali la cardiomiopatia ipertrofica o la cardiomiopatia dilatativa. Gli atleti che praticano sport di potenza (sollevamento pesi o lanci) presentano invece un ispessimento delle pareti ventricolari correlato al carico di pressione cui vanno incontro durante l’allenamento, mentre la cavità ventricolare sinistra non si modifica sensibilmente. È invece rilevato che gli atleti impegnati negli sport di squadra presentano variazioni più modeste. Anche il sesso – prosegue Calò – ha importanza, per cui le atlete, quando paragonate ai maschi della stessa età e impegnate nelle medesime discipline sportive, presentano dimensioni inferiori sia della cavità che dello spessore delle pareti ventricolari. Numerosi studi epidemiologici hanno analizzato, inoltre, le diverse aritmie cardiache che possono insorgere negli sportivi segnalando che, rispetto alla popolazione sedentaria, quelle più frequenti negli atleti sono le bradicardie sinusali (che nella maggioranza dei casi non pongono problemi di idoneità allo sport agonistico), oppure i ritardi di conduzione atrioventricolare (ritmo cardiaco lento e irregolare) o, ancora, le tachiaritmie sopraventricolari e ventricolari (che possono essere rischiose in quanto non hanno ripercussioni evidenti sulla performance, non precludono l’attività ad alto livello ma, proprio per questo, espongono l’atleta a rischi non prevedibili). Da questa analisi emerge che la pratica atletica, come descritta, può a volte scatenare eventi acuti cardiovascolari, come le sindromi coronariche acute o, addirittura, la morte cardiaca improvvisa. Per questo, chiunque si accinga a iniziare un’attività fisica regolare dovrebbe essere sottoposto, preventivamente, a un’attenta valutazione cardiologica, ancora più accurata laddove la pratica sportiva sia intensa e costante. In linea generale è opportuno un vero e proprio screening preventivo, finalizzato a individuare l’esistenza di cardiopatie clinicamente silenti in soggetti apparentemente sani ma, anche, a ‘stratificare’ il rischio associato alla pratica dell’attività sportiva così da attivare gli interventi terapeutici necessari.”

Nel caso di Katharina Bauer è presumibile che i controlli medici abbiano fatto emergere una serie di criticità e di possibili rischi, che hanno suggerito l’impianto del Defibrillatore sottocutaneo. “Non dimentichiamo – ricorda Calò – che negli ultimi anni si è verificato anche nel nostro Paese un notevole incremento di pratica sportiva. Ne è derivato un aumento degli individui che arrivano al controllo del medico presentando gli effetti cardiovascolari legati all’allenamento. La conoscenza delle modificazioni cardiovascolari negli atleti è quindi essenziale per evitare erronee diagnosi di cardiopatia ed esporre il soggetto a rischi.”

Il quadro complessivo di queste patologie (non riferite al solo mondo sportivo) fa emergere una dimensione impietosa del problema: ogni anno, 50mila persone in Italia e 350mila in Europa muoiono di morte cardiaca improvvisa a seguito di un arresto cardiaco. Nella maggior parte dei casi (80-90%) la patologia va ricondotta a una cardiopatia ischemica, cioè un ridotto afflusso di sangue causato dall’ostruzione delle arterie coronarie, a sua volta dovuto alla formazione di placche sulle pareti interne. Le aritmie sono, quindi, alterazioni del ritmo cardiaco che ne pregiudicano il normale funzionamento. Se non si interviene tempestivamente per ripristinare il consueto ritmo e favorire il flusso di sangue nel cuore, il tasso di mortalità raggiunge il 95%, mentre con un intervento tempestivo il tasso di sopravvivenza è oggi del 93%.

Purtroppo, queste patologie non sono infrequenti nel mondo sportivo, basti pensare agli episodi fatali che hanno coinvolto campioni quali Morosini o Bovolenta. Per questo, il mondo medico e quello sportivo pongono crescente attenzione a soluzioni terapeutiche innovative, come il Defibrillatore impiantabile sottocutaneo che ha ridato salute e futuro alla giovane atleta tedesca.