
Alla ricerca di nuovi farmaci, terapie sostitutive e geniche in grado di offrire ai pazienti risposte e guadagnare vita e salute nel tempo è dedicata l’ultima giornata dell’evento nazionale sulle malattie rare, organizzato dal Centro di Coordinamento, in accordo con la direzione generale Tutela della Salute della Regione Campania. Presso il Centro di coordinamento Malattie Rare dell’Ospedale Monaldi di Napoli, clinici e ricercatori si confronteranno con le Associazioni pazienti sugli ultimi passi compiuti nell’ambito delle terapie geniche nel trattamento delle malattie rare, che in circa 2/3 dei casi sono di origine genetica. “Sono un esempio, insieme all’Oncologia, della cosiddetta ‘Medicina di precisione’, in cui farmaci orfani ed innovativi vengono sviluppati specificamente per trattare gli aspetti patogenetici e clinici di quella malattia, a differenza di quanto succede per patologie croniche e comuni quali lo scompenso o la broncopatia cronica ostruttiva”, dichiara il responsabile scientifico dell’evento, Giuseppe Limongelli, direttore del Centro di Coordinamento delle Malattie Rare della Campania, direttore dell’Unità di Malattie Cardiovascolari Rare ed Ereditarie dell’Ospedale Monaldi di Napoli, Università della Campania Luigi Vanvitelli. “Come in Oncologia, la ricerca e la conoscenza degli aspetti molecolari e cellulari alla base dello sviluppo delle patologie rare sta crescendo in maniera significativa, aprendo degli scenari ed opportunità fino a qualche anno fa impensabili in questo mondo.”
Una delle malattie sotto la lente è la sindrome di Usher, una malattia legata a mutazioni del gene MYO7A, che comporta sordità alla nascita e retinite pigmentosa nell’infanzia. Mentre per la sordità esiste l’impianto cocleare, per la retinite pigmentosa, malattia degenerativa progressiva, non esistono cure per impedire l’evoluzione verso la cecità in età adulta. Grazie a una innovativa terapia genica, che impiega un doppio vettore virale per geni di grandi dimensioni, messa a punto dall’Istituto Telethon di Genetica e Medicina Tigem di Pozzuoli, e a uno studio clinico multicentrico su pazienti in Europa, coordinato dalla prof.ssa Francesca Simonelli, direttore della Clinica Oculistica dell’Università Vanvitelli, a luglio 2024 si è dato inizio al primo trial clinico di fase I al mondo per la sindrome di Usher: “Il trial clinico include 3 Centri – la Clinica Oculistica dell’Università Vanvitelli e 2 Centri a Londra – ma attualmente è solo il Centro di Napoli che ha iniziato la terapia nei primi 4 pazienti al mondo”, afferma Simonelli. “La terapia, che consiste nella somministrazione del farmaco direttamente nella retina, attraverso un intervento chirurgico di vitrectomia, prevede il trattamento di 15 pazienti con differenti dosaggi per identificare quello migliore in termini di costo-beneficio.”
I primi risultati in termini di sicurezza della terapia indicano l’assenza di effetti collaterali, nessun effetto tossico né infiammatorio né complicanze chirurgiche. “Per quanto riguarda la valutazione dell’efficacia, in termini di miglioramento delle capacità visive dei pazienti, osserviamo già qualche segnale positivo, ma aspettiamo di diffondere i risultati alla conclusione del trattamento di tutti i pazienti, considerata l’importanza della sperimentazione”, afferma ancora Simonelli. “Si tratta di una grande sfida scientifica volta alla cura di una patologia che include una doppia disabilità nei pazienti, sordità e cecità ed è di grande prestigio per l’Università Vanvitelli e per la Regione Campania poter scrivere una pagina di così alto valore scientifico”, dichiara.
Per 2 rare malattie congenite del metabolismo, la mucopolisaccaridosi di tipo 6 (MPS6) e la sindrome di Crigler-Najjar, dovute alla carenza di enzimi che determina accumulo nell’organismo di sostanze tossiche, sono in corso 2 sperimentazioni di fase I presso l’AOU Federico II di Napoli, da parte del team clinico, diretto da Nicola Brunetti-Pierri, medico e ricercatore dell’Università Federico II e del Tigem, che hanno iniziato a valutare la sicurezza e l’efficacia della terapia genica: “Il trattamento sperimentale si basa in entrambe le malattie sull’infusione di vettori virali di tipo adeno-associato AAV che sono in grado di trasferire il gene terapeutico alle cellule del fegato”, spiega Brunetti-Pierri. “Ad oggi sono 10 pazienti, provenienti dall’Italia ma anche da altri Paesi, come Canada, Turchia e Spagna, che hanno ricevuto il trattamento sperimentale. I 2 protocolli di terapia genica sono stati i primi, e ancora oggi gli unici, ad essere testati nell’uomo per queste 2 malattie. Come tutte le ‘prime volte’, bisogna iniziare valutando la sicurezza: pertanto si è cominciato somministrando dosi basse di vettore virale. Confortati dal fatto di non aver osservato effetti dannosi nei primi pazienti trattati, abbiamo potuto progressivamente aumentare le dosi e con dosi più alte abbiamo cominciato ad osservare le prime evidenze di efficacia clinica.”
La ricerca sulle malattie rare è dunque sempre più mirata a offrire ai pazienti risposte in grado di modificare la storia naturale, intervenendo sin da bambini: “In questa prospettiva, lo screening neonatale esteso diventa una strategia di completamento della prevenzione in quanto la diagnosi precoce, preclinica e presintomatica garantisce risultati terapeutici migliori”, dichiara la prof.ssa Annamaria Staiano, past president della Società Italiana di Pediatria, ordinario di Pediatria presso l’Università Federico II di Napoli. “I campanelli di allarme nei bambini sono da ricercare in sintomi neurologici non spiegati, quali convulsioni, riduzione del tono muscolare, scarsa reattività, oltre a rallentamento della crescita e alla presenza di difetti congeniti anche lievi. Più elementi si riscontrano insieme, maggiore è la probabilità che si possa avere di fronte un bambino con una patologia genetica rara. A quel punto, è necessario un coinvolgimento specialistico, a volte multidisciplinare per un approccio diagnostico completo.”