Secondo uno studio americano condotto da alcuni ricercatori dell’Hospital for Special Surgery di New York, nel calcio le commozioni cerebrali sono eventi traumatici abbastanza sottovalutati, ovvero non ricevono una attenta valutazione specialistica. E questo sarebbe molto pericoloso in quanto, sempre secondo i ricercatori, la sindrome da secondo impatto, che interessa quasi esclusivamente gli atleti più giovani, si verifica quando un cervello già lesionato e non ancora guarito viene colpito una seconda volta. La seconda commozione, in alcuni casi particolari, può determinare disabilità o persino il decesso
Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno esaminato i video di tutte le 64 partite dei Mondiali 2018. I sintomi di commozione cerebrale che il team ha preso in considerazione erano rappresentati da disorientamento, difficoltà ad alzarsi in piedi (caratterizzata da oltre cinque secondi in posizione supina dopo il contatto), perdita di conoscenza o insensibilità, mancanza di coordinazione motoria, crisi epilettica da impatto, sguardo spento o assente, lesione facciale visibile.
Dei 90 giocatori esaminati, 33 sono stati valutati da personale sanitario in un tempo che andava dai 13 a 253 secondi, 39 sono stati valutati dall’arbitro per meno di un minuto e 18 valutati da un altro giocatore o addirittura non sono stati valutati. In 6 giocatori inizialmente allontanati dal campo dopo uno scontro frontale, 3 hanno ricevuto il permesso di continuare a giocare dopo la valutazione medica. “Giocare con una commozione in atto – osserva il prof. Ajay Premkumar, coordinatore dello studio – aumenta il rischio dell’atleta di una lesione cerebrale traumatica più seria o di sindrome da secondo impatto, che può avere complicazioni devastanti”. Lo studio è stato pubblicato su JAMA Neurology 2018.