L’artrite reumatoide, patologia reumatica infiammatoria e cronica che colpisce 23,7milioni di persone in tutto il mondo e circa 300mila in Italia con 5mila nuove diagnosi ogni anno, oltre a rappresentare un notevole peso a livello emotivo e fisico sulla vita delle persone, ha anche una ripercussione molto forte in termini di impatto economico sui costi diretti e indiretti della malattia. L’impatto economico dell’artrite reumatoide è dunque molteplice: da un lato i costi diretti caratterizzano il percorso assistenziale del paziente all’interno del Ssn, con ricoveri ospedalieri, cure infermieristiche, prestazioni specialistiche, fisioterapia, dispositivi ortopedici e farmaci; dall’altro, una persona affetta da AR non sempre riesce a lavorare a pieno regime, con conseguente riduzione della produttività o, in molti casi, con relativo ricorso alle prestazioni fornite dal sistema previdenziale, come assegni ordinari di invalidità, pensioni di inabilità e indennità di accompagnamento (costi indiretti). AbbVie ha recentemente presentato, in un incontro svoltosi presso la Sala Caduti di Nassirya del Senato, i risultati di un’analisi di cost-of-illness condotta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore per determinare l’impatto economico legato alla gestione del paziente adulto con AR in fase attiva da moderata a severa. Lo studio porta a considerare la remissione clinica della malattia come un obiettivo comune per il Reumatologo e per il paziente, che consentirebbe di ridurre il peso economico per il Ssn e per il paziente stesso.
“Si tratta di una patologia che può provocare dolore intenso alle articolazioni, gonfiore, rigidità e perdita di funzionalità, provocando conseguenze invalidanti. Generalmente colpisce le mani, i piedi e i polsi e un sintomo generale è la stanchezza”, dichiara il prof. Gian Domenico Sebastiani, presidente della Società Italiana di Reumatologia SIR. “I pazienti possono avere improvvise riacutizzazioni, ovvero periodi in cui i sintomi peggiorano, difficili da prevedere. La remissione clinica è un obiettivo di primaria importanza per il reumatologo e, soprattutto oggi che abbiamo ampliato l’armamentario terapeutico, raggiungere la remissione è possibile.”
“L’artrite reumatoide è una patologia cronica, dalla quale non è possibile guarire. Tuttavia, nel corso degli ultimi 20 anni i progressi ottenuti hanno consentito a molti pazienti di raggiungere la remissione, che può essere definita come la condizione in cui i segni e i sintomi della patologia sono completamente assenti o comunque si manifestano raramente”, afferma Fausto Salaffi, professore associato di Reumatologia presso la clinica Reumatologica dell’Ospedale di Jesi. “I pazienti in remissione hanno una qualità di vita migliore, una maggiore funzionalità fisica e anche una superiore capacità lavorativa rispetto ai pazienti con bassa attività di malattia. Il Reumatologo dovrebbe sempre applicare un controllo stretto della patologia, consentendo al paziente di raggiungere la remissione in tempi rapidi.”
In Italia, il burden economico associato all’artrite reumatoide supera una spesa media annua di 2miliardi di euro; di questi, circa 931milioni sono attribuibili a costi diretti sostenuti dal Ssn (45% del totale peso economico); circa 205milioni sono a carico dei pazienti in termini di costi diretti non sanitari e circa 900milioni di costi indiretti sono attribuibili a perdita di produttività per giornate di lavoro perse o prestazioni previdenziali.
“I risultati dell‘analisi rappresentano i primi dati italiani sul valore economico della remissione nell’AR”, dichiara il prof. Americo Cicchetti, ordinario di Organizzazione Aziendale alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore di Altems. “In particolare, vogliamo soffermarci sull’impegno economico che grava sulle spalle sia del paziente che del caregiver. La mancata remissione nell’AR, soprattutto nelle forme più severe della patologia, causa ad esempio assenteismo e perdita di produttività, sia per il paziente che per il caregiver: il primo può arrivare a perdere più di 5 giornate lavorative al mese, circa 72 ore al mese, 892 l’anno quindi, che corrispondono ad una perdita economica di più di 12mila € l’anno; il secondo si attesta sulle 25 ore al mese, 300 l’anno per una perdita economica di circa 450 € l’anno.”
“La remissione clinica deve rappresentare l’obiettivo prioritario nel trattamento dell’artrite reumatoide”, afferma Antonella Celano, fondatore e presidente dell’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare APMARR. “Essere in remissione non vuol dire aver sconfitto la patologia e ogni paziente la interpreta in modo differente: per alcuni coincide con la totale assenza di sintomi; altri invece la definiscono così quando manifestano solo riacutizzazioni occasionali. La remissione, in particolare quando è continua e duratura, consente a noi persone affette da AR di vivere una vita normale, potendo continuare a lavorare e senza dover rinunciare a qualcosa anche dal punto di vista sociale.”
“L’obiettivo delle associazioni di pazienti è di supportare e aiutare concretamente tutte le persone affette da malattie reumatiche”, aggiunge Silvia Tonolo, presidente Associazione Nazionale Malati Reumatici ANMAR. “Il percorso che porta all’accettazione della patologia è lungo e tortuoso, parlare di AR costituisce spesso un tabù anche perché è una patologia non ancora molto conosciuta, al contrario delle malattie cardiovascolari o delle patologie oncologiche. Incertezza, frustrazione oltre che dolore e affaticamento incidono in diversa misura sulle persone; per questo è di vitale importanza il confronto aperto e diretto tra medico e paziente che deve avere come obiettivo principale la remissione clinica della malattia.”
“L’Italia, grazie all’impegno e alla competenza dei nostri clinici, è in prima linea nella lotta all’artrite reumatoide. Ma dobbiamo fare ancora di più”, dichiara l’on. Simona Loizzo, XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati. “Le Istituzioni, infatti, lavorando al fianco di Società scientifiche, Associazioni di pazienti e Aziende, possono contribuire in modo sostanziale non solo garantendo maggiori risorse ma anche promuovendo misure a sostegno delle persone che convivono con patologie così invalidanti.”