Ieri si è celebrata in tutto il mondo il World Thrombosis Day (WTD) per ricordare a tutti la dimensione e i problemi della malattia tromboembolica venosa, terza patologia cardiovascolare più comune dopo l’ischemia miocardica e l’ictus cerebrale. La trombosi implica la presenza di un coagulo di sangue che ostruisce o rallenta il circolo sanguigno in un’arteria o in una vena; in alcuni casi il coagulo può staccarsi e spostarsi in un organo vitale con conseguenze molto gravi, potenzialmente letali: 1 persona su 4 nel mondo muore per condizioni causate dalla trombosi.
In Italia si stimano circa 50mila nuovi casi l’anno, con 2 gravi complicanze: la trombosi venosa profonda, condizione in cui i coaguli di sangue si formano a livello delle vene profonde della gamba, principalmente, ma anche della coscia, dell’inguine o delle braccia, e l’embolia polmonare, quando i coaguli di sangue si staccano dal vaso di origine e, attraverso il circolo sanguigno, arrivano a ostruire l’arteria polmonare. Boston Scientific ha promosso una campagna europea per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema e ha dato il via a un “conto alla rovescia” di 14 giorni per la Giornata mondiale della trombosi. Obiettivo della campagna sottolineare l’importanza del tempo: 14 giorni costituiscono infatti la finestra temporale ideale per il trattamento efficace, quando il trombo è ancora acuto.
Per aumentare attenzione e consapevolezza, ogni giorno le pagine social LinkedIn e Twitter di Boston Scientific hanno ospitato i messaggi video di opinion leader europei del settore, che hanno indicato “che cosa significhi per loro la trombosi” e come sia necessario “aprire gli occhi sulla trombosi”, così come raccomanda il messaggio di quest’anno del WTD. Di seguito, le testimonianze di alcuni medici italiani che hanno partecipato alla campagna:
“Abbiamo imparato cose importanti sulla trombosi. La prima riguarda il tempo: il tempo è vita, perché dobbiamo intervenire in un paio di giorni, massimo due settimane, per essere in grado di ottenere i risultati migliori”, dichiara il prof. Antonio Gaetano Rampoldi, Radiologo Interventista, Struttura Complessa di Radiologia Interventistica, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda Ca’ Granda di Milano. La seconda è che è possibile trattare pazienti con trombolitici, in piccole quantità, anche dopo recenti episodi emorragici.”
“Mi piace molto il messaggio del World Thrombosis Day: Keep life flowing, ovvero continuare a far scorrere la vita”, commenta il dott. Domenico Baccellieri, Chirurgo Vascolare, Unità Operativa di Chirurgia Vascolare e Vein Center, IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. “Una trombosi arteriosa o venosa può portare alla morte o a malattie disabilitanti; possiamo prevenire la formazione di coaguli di sangue e ripristinare il normale flusso sanguigno per continuare a far scorrere la nostra vita.”
“Da quando siamo partiti con l’esperienza del trattamento della patologia venosa sia in acuto che in cronico, abbiamo sicuramente capito una cosa: non bisogna temere di intervenire anche nei confronti dei pazienti molto giovani che presentano trombosi venosa acuta. Il concetto di attendere la naturale evoluzione di un trombo, che possa cronicizzarsi, è secondo noi datato”, afferma il dott. Mattia Silvestre, Radiologo Interventista, U.O.C. Radiologia Vascolare ed Interventistica, azienda ospedaliera Antonio Cardarelli di Napoli. “Abbiamo gli strumenti e gli skill formativi adatti per poter intervenire, anche nei confronti di pazienti giovani, nell’arco temporale giusto che ci permette un buon risultato terapeutico, con sistemi dedicati alla rimozione e all’aspirazione del trombo stesso. La pratica clinica, in questi anni di esperienza, ci ha fatto capire quanto sia importante intervenire subito e senza paura.”
“Il trattamento della patologia tromboembolica, in alcune situazioni, è un trattamento che dà molta soddisfazione all’operatore e risolve situazioni cliniche particolarmente complesse”, dichiara Mario Galli, Cardiologo, U.O.S. Emodinamica, Interventistica Cardiovascolare e Terapia Intensiva Cardiologica, AO Ospedale Sant’Anna di Como. “Mi viene in mente il caso di una paziente molto giovane che abbiamo trattato circa un anno fa: una paziente gravida all’ottavo mese di gravidanza, arrivata in ospedale con una trombosi venosa acuta, complicata nelle ore successive da un’embolia polmonare di grado severo, che ha richiesto un trattamento farmacologico complesso, in relazione al fatto della necessità di evitare il rischio emorragico conseguente ai trattamenti anticoagulanti e trombolitici e in più associato a un trattamento farmaco-meccanico allo scopo di ridurre il pattern trombotico, risolvere il problema di insufficienza respiratoria che si era manifestato e cercare di ridurre il rischio per la paziente e del successivo parto. Il trattamento è stato efficace, ha coinvolto un’equipe multidisciplinare e ha portato poi alla possibilità della paziente di partorire dopo alcuni giorni dal nostro trattamento farmaco-meccanico.”
“Sono fortemente convinta che ciò che dobbiamo davvero cambiare, se vogliamo ridurre il burden della malattia tromboembolica venosa, è la formazione”, dichiara la prof.ssa Marzia Lugli, Chirurgo Vascolare, International Center of Deep Venous Surgery, Dipartimento Cardiovascolare, Hesperia Hospital di Modena. “Abbiamo ancora una formazione insufficiente sulla TVP e sulla malattia venosa in generale e questa è una mancanza di conoscenza che sta portando oggi ad un approccio mediocre a questa malattia. Molti centri, anche dove ci sono i ricoveri al pronto soccorso, non sanno ancora come affrontare la tecnica di rimozione precoce del trombo o quale possa essere il futuro e l’evoluzione della malattia di quei pazienti. Abbiamo già nelle nostre mani tecniche molto potenti che possiamo applicare con ottimi risultati e ciò di cui abbiamo davvero bisogno è la formazione e sapere come diffondere tali tecniche.”