Teplizumab è il primo farmaco al mondo capace di “modificare la traiettoria malattia”. L’anticorpo monoclonale “umanizzato” (in cui sono cioè state modificate in laboratorio alcune parti proteiche di origine murina in modo che l’organismo non attivi una risposta immunitaria) ha mostrato la capacità di ritardare l’esordio clinico del diabete di tipo 1 in pazienti dagli 8 anni in poi. Gli studi condotti hanno portato all’approvazione della molecola da parte dell’ente regolatorio amaricano FDA lo scorso 17 novembre del 2022. Se nel 2021 circa 529milioni di persone vivevano con il diabete (il 6% della popolazione mondiale), le stime per il 2050, pubblicate in un articolo su The Lancet, descrivono uno scenario preoccupante, con circa 1,31miliardi di persone e un incremento di quasi +300%. La crescita della popolazione, l’invecchiamento e l’incremento dell’obesità sono i fattori dell’aumento del numero di casi di diabete di circa l’1,7% all’anno. In tutto il mondo, sono 8,4milioni le persone con diabete di tipo 1, e nel 2021 sono stati 0,5milioni i nuovi casi diagnosticati in età infantile adolescenziale; entro il 2040, si prevede che questi aumentino fino ai 13,5-17,4milioni di casi.
“[In Europa e in Italia] si attende il via libera di Ema e Aifa, perché Teplizumab ha mostrato di essere efficace nel prevenire la perdita di funzione delle cellule beta del pancreas, che nei soggetti con diabete mellito sono aggredite e progressivamente distrutte dal sistema immunitario del paziente”, dichiara la prof.ssa Raffaella Buzzetti, presidente eletto della Società Italiana di Diabetologia SID. “Si tratta di un vantaggio importante che offre mesi e anni liberi dalla malattia, la possibilità di pianificare e organizzare la vita e, perché no, prendere tempo rispetto a trattamenti che potrebbero curarla. Nello studio TN-10, con 1 ciclo di terapia endovena di 14 giorni, teplizumab ha ritardato di 25 mesi l’esordio della malattia, mentre un aggiornamento dello studio del 2021 ha mostrato un ulteriore vantaggio, rimandando l’appuntamento con la diagnosi di 32,5 mesi. Gli studi ci hanno mostrato che l’insorgenza annua della malattia era del 35,9% nel gruppo trattato con placebo e del 14,9% in quello trattato con Teplizumab, ma non solo: è stata evidenziata la capacità di ridurre l’attività aggressiva dei linfociti T CD8+, quelli che riducono la capacità delle cellule beta del pancreas di funzionare.”
“Possono beneficiarne i soggetti con più di 8 anni di età con predisposizione al diabete tipo 1, nei quali quindi lo screening abbia evidenziato 2 o più autoanticorpi e che abbiano una condizione di disglicemia”, spiega il prof. Angelo Avogaro, presidente SID. “Per questo è necessario un programma di screening che individui i soggetti con diabete di tipo 1 allo stadio 2, un obiettivo – conclude – che può essere raggiunto con un semplice ed economico prelievo di sangue su alcune fasce della popolazione e con l’istituzione di un Registro Nazionale di Patologia.”