Antibiotico-resistenza, una “pandemia silenziosa”. Neonatologi SIN: “Uso eccessivo che va controllato”

La resistenza antimicrobica (AMR) si verifica quando batteri, virus, funghi e parassiti non rispondono più agli agenti antimicrobici. A causa della resistenza ai farmaci, gli antibiotici e gli altri agenti antimicrobici diventano inefficaci e le infezioni diventano difficili o impossibili da trattare, aumentando il rischio di diffusione della malattia, a volte grave. In Italia, secondo il Rapporto Aifa, nel 2022 l’uso degli antibiotici sistemici risulta in ripresa, con un +24% rispetto al 2021. Per aumentare la consapevolezza e la comprensione della resistenza antimicrobica e promuovere le migliori pratiche per prevenirla e per affrontare un’emergenza già da tempo, purtroppo, globale, si è recentemente celebrata la World AMR Awareness Week. Tema di quest’anno, come per il 2022, Prevenire Insieme la Resistenza Antimicrobica.

“Per preservare l’efficacia degli antibiotici e ridurre in modo efficace la resistenza antimicrobica, è necessario promuovere una collaborazione intersettoriale”, afferma il dott. Luigi Orfeo, presidente della Società Italiana di Neonatologia SIN. “Occorre una consapevolezza globale, in tutti i settori, che devono essere in grado di utilizzare gli antimicrobici in modo prudente e appropriato, adottare misure preventive per ridurre l’incidenza delle infezioni e seguire le buone pratiche nello smaltimento dei rifiuti contaminati.”

È fondamentale – ricorda la SIN – che non solo gli operatori sanitari e le istituzioni ma anche i cittadini prendano piena coscienza della portata di questo fenomeno: solo collaborando, secondo un approccio One Health, si può sperare di porre un freno allo sviluppo e alla diffusione della resistenza agli antibiotici. Occorre mettere in atto delle “azioni virtuose”, che possano contribuire a ridurre l’incidenza e l’impatto delle infezioni da batteri resistenti, in qualsiasi ambito: le industrie farmaceutiche, attraverso le giuste indicazioni d’uso e proponendo alternative agli antimicrobici; il personale sanitario e i Medici, implementando buone pratiche, informando i cittadini e prescrivendo antibiotici attenendosi alle linee guida; i cittadini e i pazienti, assumendo antibiotici solo dietro prescrizione medica, seguendone scrupolosamente le indicazioni; le scuole, promuovendo la conoscenza del problema dell’antimicrobico-resistenza e dei metodi per contrastarla.

Oggi le infezioni neonatali rappresentano ancora un’importante causa di morbilità e mortalità. Dati recenti della letteratura mettono in evidenza che negli ultimi 30 anni c’è stato, nel mondo, un aumento dell’incidenza delle infezioni/sepsi neonatali del 13% circa con 6,31milioni di casi stimati nel 2019 responsabili del 3,7% della mortalità in epoca neonatale. Diversi patogeni possono essere trasmessi ai neonati verticalmente da madre a figlio in seguito allo sviluppo, da parte della madre, di un’infezione oppure orizzontalmente dai caregiver, in comunità o in ambito ospedaliero. In particolare, i neonati ricoverati nelle Terapie Intensive Neonatali sono ad alto rischio di infezione a causa della fisiologica immaturità del sistema immunitario, della prolungata ospedalizzazione e delle necessarie pratiche diagnostiche-terapeutiche spesso invasive. Per questi motivi, fino al 90% dei neonati pretermine con peso < 1.000 g vengono sottoposti a terapia antibiotica empirica nel sospetto di una sepsi precoce, rappresentando questi ultimi 1/3 dei 10 medicinali più utilizzati durante la degenza.

“Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza per i neonati, e in particolare per quelli ricoverati in TIN, rappresenta una delle principali preoccupazioni per noi Neonatologi. Il 50% circa delle infezioni neonatali severe risultano attualmente resistenti alla prima e alla seconda linea di trattamenti raccomandati dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Il motivo – continua Orfeo – è che gli antibiotici sono effettivamente tra i farmaci più utilizzati nelle terapie intensive neonatali, anche se a volte non necessari, e seppur ad oggi valutati in modo più critico rispetto al passato, il loro uso rimane ancora significativo e prolungato, causando il rischio di insorgenza di alcune patologie come infezione tardiva, enterocolite necrotizzante o anche di morte. La prevenzione delle infezioni in ambito ospedaliero resta la miglior difesa per combattere la battaglia contro la resistenza antimicrobica e l’igiene delle mani, in particolare, rappresenta la misura più importante per prevenirne la diffusione e pertanto costituisce una pratica da diffondere ed incentivare il più possibile.”