La “molecola della felicità” è la dopamina. Ebbene, questo neurotrasmettitore, generalmente permette la comunicazione tra le cellule nervose e viene prodotto principalmente nel cervello. Una ricerca pubblicata sulla rivista Nature dimostra che anche alcuni tipi di cellule del sistema immunitario usano la dopamina per comunicare, accelerando la produzione di anticorpi nel caso di un’infezione virale o batterica. Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano in collaborazione con l’Australian National University di Canberra. La scoperta dell’impiego della dopamina nel processo di produzione degli anticorpi apre la strada allo sviluppo di nuove terapie che colpiscono questo canale di comunicazione per frenare o accelerare la risposta immunitaria, con possibili impieghi nel campo delle malattie infettive e di quelle autoimmuni.
Quando il nostro organismo viene attaccato da un agente esterno, virale o batterico, il sistema immunitario si attiva per produrre anticorpi in grado di riconoscere la minaccia e neutralizzarla. Gli anticorpi vengono prodotti e selezionati in un’area dei linfonodi – il centro germinativo – dalle cellule cellule B. Le cellule B svolgono questo lavoro solo se aiutate da un tipo particolare di cellule T, chiamate TFH. L’efficacia e la rapidità dell’impresa dipendono quindi in larga parte dallo scambio di informazioni tra queste due cellule. È proprio in questa fase che entra in gioco il noto neurotrasmettitore, la dopamina. “Abbiamo scoperto che la dopamina accelera la selezione delle cellule B da parte delle cellule T, perché aiuta la loro reciproca interazione”, spiega Claudio Doglioni. “Usare la dopamina come molecola-segnale permette infatti una comunicazione più veloce di quella che avviene in genere tra le cellule del sistema immunitario”, aggiunge il prof. Maurilio Ponzoni dell’Università Vita-Salute San Raffaele, coautore dello studio.
Solitamente queste cellule comunicano attraverso delle proteine: le citochine. Il problema di usare le proteine come molecole-segnale è che queste, prima di poter essere utilizzate, devono essere sintetizzate dalla cellula stessa a partire dal corrispondente gene contenuto nel DNA, un processo laborioso e lento. “L’impiego di una tecnica di comunicazione più veloce – non a caso prediletta dal sistema nervoso – costituisce un chiaro vantaggio evolutivo, ovvero maggiore rapidità nella produzione di anticorpi contro un’infezione”, spiega la dott.ssa Ilenia Papa, primo autore dell’articolo, che dopo aver lavorato all’Ospedale San Raffaele si è trasferita in Australia, dove continua la sua ricerca presso l’Australian National University. L’ipotesi è rafforzata dalla scoperta che questo meccanismo non è presente in animali più semplici, come i topi. Le conseguenze sono evidenti: se nel topo sono infatti necessarie circa 8 ore per selezionare le cellule B adatte a produrre anticorpi contro una minaccia infettiva, nell’uomo è sufficiente mezz’ora o un’ora.