La notizia buona è che nuove ricerche sul vaccino anti-Alzheimer sono in corso nel mondo e che importanti trial internazionali coinvolgono anche l’équipe di Neuroscienze dell’Università di Firenze. La notizia cattiva, invece, è che, pur progredendo la conoscenza del fenomeno, tutti i precedenti tentativi hanno fin qui fatto fiasco. “Però la scienza non si arrende e se davvero può esistere un vaccino, prima o poi lo scopriremo”, afferma Giancarlo Pepeu, celebre ricercatore e docente emerito di Farmacologia dell’Ateneo fiorentino, a ridosso del VII congresso nazionale sui Centri Diurni Alzheimer di Pistoia dove ha presentato una relazione, molto tecnica, ma per certi aspetti ottimistica, sulle non poche cause più o meno accertate che concorrono all’insorgere della malattia che in Italia affligge 1,2 milioni di persone e in Toscana circa 75 mila. “Il fatto è – spiega Pepeu – che in questi anni sono stati fatti enormi passi avanti. Quando mi laureai nel 1954, il trattato di neurologia su cui studiavamo liquidava l’Alzheimer in tre righe. Oggi è l’argomento di intere biblioteche e tutto comincia solo alla fine degli anni Settanta quando con l’invecchiamento della popolazione in Occidente inizia il boom delle demenze senili”. La scoperta di alcuni meccanismi della degenerazione di particolari neuroni importanti nei processi cognitivi ha prodotto farmaci, tutt’oggi i più utili, che compensano almeno in parte il cosiddetto deficit colinergico. Questi farmaci riducono i sintomi della demenza senza però arrestare la malattia. I farmaci del futuro agiranno invece sul sistema immunitario: somministrando anticorpi monoclonali dall’esterno, come si fa oggi per molti tumori, oppure inducendo la sintesi di anticorpi specifici da parte dell’organismo: in altre parole, il vaccino. Ma all’origine del decadimento neuronale possono esserci anche stili di vita incongrui, dall’obesità all’assenza di attività fisica e/o intellettuale; oppure una serie di patologie come ipertensione, diabete, arteriosclerosi. Ma anche particolari traumi celebrali e perfino anestesie su soggetti fragili possono avere analoghe conseguenze.
Che cosa accade quindi nel cervello? Due dei processi correlati che approdano alla morte dei neuroni dividono (spiritosamente) il campo dei ricercatori in “Taoisti” e “Battisti”, ossia tra gli studi sulla Proteina Tau, la cui iperfosforilazione, reazione chimica dovuta a un enzima, copre i neuroni di filamenti tossici, e quelli, al momento i più accreditati, sulla proteina Beta-amiloide, sostanza neurotossica che si deposita in placche sulle membrane cerebrali inibendo i collegamenti tra i neuroni.