Chi beve per dimenticare tenga almeno in mente che l’Alzheimer è dietro l’angolo. E chi beve per noia o per piacere, idem. Con l’alcol non si scherza: la via della demenza anche precoce è spianata e una ponderosa ricerca su oltre 2 milioni di pazienti lo certifica ora per la prima volta. Questo uno dei grandi temi al centro dal IX Congresso nazionale sui Centri Diurni Alzheimer in programma a Montecatini il 17 e 18 maggio, organizzato dall’Unità di Ricerca in Medicina dell’Invecchiamento dell’Università di Firenze con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia.
“I risultati della ricerca sono tanto più allarmanti se collegati con il vertiginoso aumento del consumo di alcol registrato negli ultimi anni anche tra le giovani generazioni”, spiega il geriatra Enrico Mossello, coordinatore scientifico del congresso. “Aumento confermato sia dalla recente relazione del Ministro della Salute al Parlamento sia dall’ultima rilevazione Istat.”
Gli italiani bevitori a rischio, dice in sintesi il Ministro, sono circa 8,5 milioni (per tre quarti uomini), di cui ben 800mila minorenni e 2,7 milioni di ultra 65enni. Nei 10 anni tra 2006 e 2015 il leggero calo del consumo giornaliero (dal 29% al 22% della popolazione) non elimina la preoccupazione per anziani e soprattutto giovanissimi. Tra i 18-24enni il fenomeno del binge drinking, l’abbuffata alcolica fuori dai pasti in un breve arco di tempo, sale infatti dal 15,6% a 17% nel giro di un solo anno. E tra le regioni più a rischio, la Toscana presenta dati sempre superiori alla media nazionale: l’8,4% dei bevitori maschi contro 6,1%, e l’8,5% delle donne contro 5,5%.
“Dunque bisogna cominciare a pensare che all’origine dell’aumento dei casi di demenza (in Italia sono ormai 1,3 milioni) non c’è solo la degenerazione associata all’età, ma anche l’amore per alcol più o meno appassionato”, commenta Mossello. “Che il bere, o il ri-bere come si dice in Toscana, facesse male al fegato e inducesse cancro o cardiopatie, era noto da tempo. Che potesse produrre anche la demenza in dimensioni ragguardevoli diventa ora una certezza.”
Lo studio in questione, di matrice franco-canadese, coordinato dal Campbell Family Mental Health Research Institute di Toronto e appena pubblicato dalla rivista scientifica Lancet Public Health, è il più vasto mai condotto sull’argomento, con conclusioni che non lasciano spazio a dubbi: non solo l’abuso di alcol è il principale fattore di rischio della demenza, ben più di ictus e malattie cardiovascolari, ma si accompagna anche a oltre la metà dei casi di demenza precoce.
È quanto emerge dall’analisi di 31 milioni di ricoveri ospedalieri tra il 2008 e il 2013, un milione dei quali con nuova diagnosi di demenza e un milione circa con diagnosi di abuso alcolico. Tra i 57mila casi di demenza precoce, ovvero diagnosticati prima del 65 anni, oltre 32mila avevano storia di abuso di alcol e per 22mila di questi i medici hanno considerato l’alcol causa primaria del decadimento cognitivo. Tutto ciò in Francia; in Italia mancano dati simili, ma non dovrebbe essere troppo diverso.
Questi risultati sono peraltro in linea con uno studio dell’Università di Oxford condotto su 550 forti bevitori e pubblicato quasi in contemporanea dal British Medical Journal: “L’abuso di alcol induce inevitabilmente una perdita di volume dell’ippocampo, la struttura cerebrale più implicata nel mantenimento della memoria e nello sviluppo dell’Alzheimer”, spiega la coordinatrice Anya Topiwala.
“Prove alla mano – commenta Mossello – le neuroscienze sono ormai scese in campo contro l’alcol. Attenzione dunque ad affermare che un consumo moderato ha un ruolo protettivo sul cervello. Moderato è termine ambiguo e si tratta comunque di ipotesi controverse. Gli effetti benefici attribuiti all’alcol possono infatti derivare da ben altri fattori. In sostanza: un bicchiere di vino al giorno è ok. Oltre si rischia. Meglio dimenticare di bere che bere per dimenticare.”