Le molecole dell’immunità innata sono uno strumento di diagnosi ormai consolidato, ma il loro livello nel sangue ha anche grande valore di prognosi per molte malattie, infiammatorie o autoimmuni. Tale ruolo è stato meglio puntualizzato da una recente ricerca, condotta dal prof. Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas, e dalla prof.ssa Cecilia Garlanda, responsabile del laboratorio di Immunopatologia Sperimentale di Humanitas. Le molecole dell’immunità innata vengono considerate come indicatori diagnostici e prognostici di infiammazione: il loro livello nel sangue permette ad esempio di misurare lo stato infiammatorio e di prevedere l’evoluzione della malattia. “Abbiamo ritenuto importante mettere a fattor comune tutte le conoscenze sulle molecole della nostra prima linea di difesa a beneficio dei medici e delle future generazioni di clinici, che si trovano ad utilizzarle per diagnosi e terapie, a volte senza aver piena percezione del loro potenziale”, dichiara Mantovani. “Le molecole dell’immunità innata sono infatti protagoniste di alcuni importanti azioni di difesa quando l’organismo è sotto attacco infiammatorio, come nella sepsi o in caso di grandi traumi, ma anche di malattie neurodegenerative o autoimmuni.”
“I dati delle ricerche di questi anni ci dicono che queste molecole possono fare molto di più come target terapeutici ancora in larga parte poco esplorati”, afferma Garlanda. “Le molecole dell’immunità innata, una volta attivate dall’incontro con un patogeno, combattono l’infezione riconoscendo l’intruso, segnalandolo e ostacolandone l’azione come degli ‘anticorpi primitivi’, e coordinano la rigenerazione dei tessuti.” Lo studio è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine.