Approfondire le implicazioni di carattere organizzativo dell’area terapeutica del Parkinson, dalla diagnosi alla presa in carico del paziente fino alla dispensazione delle cure, farmacologiche e non, individuando modelli gestionali in grado di integrare l’innovazione, nel rispetto di un uso razionale ed appropriato delle risorse disponibili. Questo il focus della tavola rotonda dal titolo “Parkinson: Aspetti Organizzativo-Gestionali”, svoltasi a Palazzo della Gran Guardia a Verona, nell’ambito della terza edizione del Congresso nazionale dell’Accademia Italiana per lo Studio della Malattia di Parkinson e i Disordini del Movimento, che ha visto riuniti oltre 700 neurologi nell’anno in cui si celebra il bicentenario della scoperta della malattia.
Si stima che oggi in Italia siano circa 230.000 le persone colpite da Parkinson, di cui il 70% con un’età superiore ai 65 anni. Si tratta di una patologia neurodegenerativa cronica e progressiva, causata dalla perdita di neuroni dopaminergici, responsabili della produzione di dopamina, il neurotrasmettitore che permette il controllo dei movimenti. Oltre ai principali sintomi motori (tremore, rigidità muscolare, bradicinesia e instabilità posturale), la malattia può essere accompagnata dalla comparsa di altri disturbi non motori (dall’ansia e depressione ai problemi cardiovascolari alla stipsi), che impattano sensibilmente sulla qualità di vita dei pazienti.
A oggi non esiste una cura definitiva per il Parkinson. Ci sono invece a disposizione diverse tipologie di trattamento – dalla riabilitazione alla terapia farmacologica fino alla stimolazione cerebrale profonda (DBS – Deep Brain Stimulation) – che consentono di tenere sotto controllo in maniera efficace i sintomi per un lungo periodo. Data la complessità della malattia, la presa in carico del paziente con Parkinson richiede un approccio assistenziale multidisciplinare, che vede il coinvolgimento di diverse figure professionali: dal medico di medicina generale al neurologo, dal fisiatra agli specialisti di supporto – come cardiologi, gastroenterologi e nutrizionisti – fino al personale dei servizi sociali e delle associazioni di volontariato. Risulta quindi fondamentale creare dei percorsi integrati di diagnosi e cura, per garantire una continuità ospedale-territorio e offrire una rete di servizi assistenziali in grado di gestire l’evoluzione della patologia.
“La proposta di un ‘percorso Parkinson’ prevede che la prima valutazione venga effettuata dal medico di medicina generale, il quale, dopo aver rilevato preliminarmente la patologia attraverso l’esecuzione di accertamenti strumentali minimi, possa inviare il paziente allo specialista neurologo che opera nel Centro per i Disordini del Movimento di II livello”, afferma Roberto Eleopra, Direttore SOC di Neurologia dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine, Presidio Ospedaliero S. Maria della Misericordia. “Presso l’ambulatorio del Centro si procederà a confermare la prima diagnosi, tramite indagini strumentali più mirate, e a definire la gestione dei casi più complessi. Il Centro per i Disordini del Movimento di I livello, invece, dovrà occuparsi dei pazienti cronici, in terapia farmacologica sottoposta a regime AIFA o che prevede l’utilizzo di antipsicotici nel caso di disturbi comportamentali. Inoltre, per interventi di tipo sociosanitario, è prevista l’attivazione di una rete socio-assistenziale attraverso le Unità di Valutazione Multi Disciplinare. La gestione integrata dell’intero percorso dovrà necessariamente prevedere un infermiere esperto, un ‘case-manager’ dedicato, in grado di indirizzare il paziente al setting assistenziale più opportuno e di rendere efficiente il collegamento tra medico di famiglia, assistito e caregiver.”
La necessità di creare una “rete Parkinson” a livello regionale è stata sottolineata anche dal dott. Claudio Pacchetti, Direttore Centro Parkinson dell’Istituto Neurologico Nazionale Fondazione C. Mondino di Pavia, illustrando alcune proposte di carattere organizzativo-gestionale per la Regione Lombardia. “Riprendendo il modello ‘Hub and Spoke’, la rete sarà organizzata in Ospedali-HUB (centri di riferimento di secondo livello con posti letto e personale dedicati, la cui offerta diagnostica-terapeutica si estende dalla genetica alla stimolazione cerebrale profonda) e SPOKE, centri territoriali di neurologia, provinciali, con ambulatori di primo livello. Ai centri-HUB sarà affidato anche il ruolo istituzionale di coordinamento con l’Amministrazione regionale per la gestione e l’allocazione delle risorse. Il flusso dei pazienti sarà bidirezionale e regolato in base alla complessità diagnostica e alla gravità della malattia, in modo da offrire all’assistito il miglior approccio medico/riabilitativo o chirurgico.”
“È importante potenziare l’offerta territoriale dei servizi sanitari e socio-sanitari per ridurre le disuguaglianze tra cittadini lombardi e non nell’accesso alla diagnosi e alle cure – continua Pacchetti – e favorire la formazione e la sensibilizzazione alle problematiche legate al Parkinson di tutte le figure professionali coinvolte nella gestione della malattia, al fine di garantire una migliore presa in carico. Oltre a un costante aggiornamento dei Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali, sarebbe anche opportuno istituire un tavolo tecnico permanente con la Regione, finalizzato alla realizzazione di progetti specifici, come, per esempio, l’analisi dei costi causati dalla patologia, sulla base di dati forniti dall’ASL e dall’Aziende Ospedaliere.”